La vitalità esplosiva del sublime
Certe opere di De Michele, forse perché si pongono in bilico fra arte e scienza, cantano la mescolanza degli opposti: acqua e fuoco che si scontrano come quando un fiume di lava giunge al mare, formando nuvole di vapore mescolate al fumo, e a cenere e lapilli. Ma anche, in un contesto più specificamente compositivo e formale, contrasti di colori complementari. È il grandioso manifestarsi del caos primigenio, oppure, come sospetto, è una lotta in atto per raggiungere nuovi equilibri negli elementi? Il diverso equilibrio potrebbe anche essere raggiunto a nostro sfavore (nostro, di specie umana, o anche di singoli individui), purché la vita continui la sua rigogliosa esplosione. Alcuni lavori dell’artista fanno pensare ad un florido sottobosco dove ogni minimo spazio è invaso dalla vita. Anche in questo caso conta il punto di vista: una casa disabitata viene in poco tempo invasa dalle erbacce, perché la natura si riprende il territorio che l’uomo le ha sottratto. In realtà le erbacce non esistono: siamo noi ad usare un termine spregiativo, ad indicare la pervicace intrusione della vita “selvaggia” nel nostro spazio igienicamente asettico e metodicamente controllato. In questo spazio geometrico tele di ragno filamenti bave di lumaca fiori foglie secche sono inghiottite inesorabilmente dagli aspirapolvere, esiliate, cancellate come cosa sporca, impurità, immondezza. Ma in natura lo sporco non esiste! Anche un granello di polvere partecipa con pari dignità alla realtà del tutto. De Michele, con gesti casuali, lascia tracce amorfe, metamorfiche, sovrapposte, mescolate, conglomerate anche cromaticamente. La vita è colta mentre si sviluppa senza soluzione di continuità.
Scriveva Eliot che aprile è il mese più crudele, perché ci chiama alla vita ed all’alacre attività, al contrario dell’inverno, che favorisce la pigrizia e l’indolenza. Anche De Michele, con i suoi colori acidi, stridenti, sembra ripeterci che dobbiamo far esplodere la vita in noi, come lui la sente esplodere dentro di se. La vita è fatta di traiettorie “casuali”, scommesse azzardate, percorsi imprevisti. Solo così le è stato possibile diffondersi nello spazio cosmico. Noi, esseri civilizzati, al contrario, pianifichiamo tutto, vogliamo avere ogni cosa sotto controllo, ossia bramiamo di esercitare il nostro potere sulla realtà e sulla vita per manipolarla e piegarla ai nostri comodi ma questo controllo, come certi segni ad esse di De Michele, ci sfugge continuamente: la natura cerca equilibrio per riparare ai nostri dissesti, provocando cambiamenti climatici, sconvolgimenti sismici, epidemie, guerre, aridità.
In effetti, l’uomo, borioso nella sua ascesa tecnologica e scientifica, dissacratore di qualsiasi divinità, ha perduto la capacità di sentire la forza del sublime, che oggi, molto spesso, si riduce alla messa in scena spettacolare di effetti speciali sempre più elaborati elettronicamente e notevolmente lontani dalla realtà e dalle forze vive della natura. Sicuro del suo sacrilego dominio sugli elementi, l’uomo s’illude di trovare sempre nuove e facili soluzioni agli urgenti problemi che di volta in volta lo assillano: inquinamento, violenza, rifiuti, emergenza alimentare. Egli, molto spesso, dimentica che quando gli antichi romani dovevano costruire un ponte su un fiume, offrivano un sacrificio al dio fluviale, per placarlo dell’essere stato scavalcato. L’uomo, vale a dire, aveva con la natura un rapporto di scambio, che significa dare ed avere. Quali olocausti immolano, oggi, gli ingegneri che librano ponti sospesi sopra fiumi ed abissi? Giuseppe De Michele offre la passione per l’arte, il suo inchinarsi alla vita, colmo di rispetto per le potenze ctonie latenti nelle profondità della terra, che egli è capace di scrutare anche quando questa si copre di fiori.
Antonio Risi