CERCA E PREMI INVIO

Critica

Una semplice tavola non è sufficiente per contenere l’impeto creativo di Giuseppe De Michele, per accogliere il dirompente affiato della sua poetica. Queste strutture plastiche di geometrica suggestione accolgono un magma cromatico che le inonda di energia, simbolizzando una danza cosmica colta in un fluire metamorfico, dove forme sottili e sinuose si intersecano creando equilibri fragili e volubili, in un continuo avvicendarsi di elementi diversi. Ognuna di esse si lascia colmare da una tonalità cromatica dominante, su cui si innestano sferzate di colore, graffi e bagliori che si rincorrono e si mescolano lungo le superfici, creando un vortice di toni e contro toni. Il processo creativo di De Michele è immediato, istintuale, materico, tradotto in una gestualità forte e decisa. Il connubio tra pittura e scultura da lui realizzato, riproduce la complessità delle dinamiche naturali; le variazioni cromatiche trasportano l’osservatore all’interno di un caotico flusso evolutivo, misterioso e inebriante nel suo incessante susseguirsi di luci e ombre. De Michele racconta non solo la complessità del cosmo e delle emozioni che lo abitano, ma anche l’impossibilità di decifrarlo, di definirlo in uno schema codificato, né tanto meno in una teoria scientifica che ne spieghi il moto. La mano dell’artista, facendosi interprete della meraviglia evolutiva, si immerge negli strati più profondi della materia, per estrarne l’energia vitale e gli umori più segreti. Nelle sue tavole modellate in forme aeree la materia si espande in uno spazio, dove la definizione razionale di profili geometrici e l’istinto sembrano incontrarsi per annunciare la continua tensione tra la regola e il desiderio. Ma solo dal caos possono scaturire le armonie e le pulsioni che generano e sostengono ogni forma di vita.

Paolo Levi

Preghiera e lavoro rendono compiutamente l’uomo partecipe dell’armonia dell’universo il cui moto è versum Unum. Di fronte all’ineffabile valgono le parole di Einstein: ”Sottile è il Signore, ma non malizioso…nasconde i suoi segreti nella natura non perché ci inganni, ma perché è essenzialmente sublime”.

All’Ordine, alla bellezza e all’Amore, identificativi di Dio nel suo progetto, si ispira Giuseppe De Michele esperto di matematiche e architetture. Ha meditato sulla terrificante e intanto magnifica epifania delle radici del mondo della loro singolare e primordiale furia. Ha ammirato come la regola le verificasse docili nel contribuire con il loro lavoro a quello dell’uomo e meglio, francescanamente, ha rivolto la lode al Creatore nell’acqua che genera la vita, nel fuoco che l’alimenta, nell’aria in cui naturalmente sono immersi i viventi, nella terra madre sapiente d’ogni vita regolata dalle stagioni. Ha amato un ciottolo grezzo e scabro, perché nella sua custodia si può celare una pietra preziosa con le mirabili geometrie dei cristalli. Ha appreso a dire con White: ”c’è un principio di bellezza e d’ordine nel cuore del caos; dentro la vita c’è la vita”.

L’opera degli umili mortali deve trovare nutrimento proprio dal mistero della Creazione, comprenderla nella consapevolezza dei limiti umani, parteciparvi in buona volontà. De Michele ha dedicato la sua arte prima a far poesia delle radici del mondo, poi a quelle immensità stupefacenti ha coniugato il senso della regola. Di qui le pittosculture e le strutture geometriche dipinte dei colori dell’universo, delle energie che crescono in bellezza, partendo da un filo d’erba, da un fiore nella pietra, alle armoniche totalità che permeano tutto ciò che esiste. A quelle alludono i suoi gesti pittorici che sembrano orchestrare l’intuizione-visione. Le strutture inequivocabilmente suggeriscono la regola, che a sua volta chiarifica il senso del lavoro nella vita. Gli sviluppi cromatici potremmo riconoscerli nei vari moti delle mani che seguono alate variazioni musicali, vagando lungo quelle armonie e perdendosi nel desiderio dell’ineffabile che pure transita alla incantata vista interiore. In quella regola d’ogni esistenza si chiarisce nel desiderio di Dio.

Angelo Calabrese

 

Dinamiche armonie

Attinge alle primordiali radici dell’universo, e per illuminazioni ne interpreta le meraviglie metamorfiche, l’arte di Giuseppe De Michele che vede e rende nell’immediatezza della pittura materico-gestuale il senso delle immense dinamiche armonie che si fanno epifanie cosmonaturali.

Dal loro principio tremendo si rinnova e giustifica la vita, stupefacente mistero d’energie che generano e permeano la materia esistente in perenne transito evolutivo-metamorfico. L’evento prorompente come ineludibile atto naturale colto nel suo farsi dall’illuminazione creativa non è né nominabile, né spiegabile. Ha solo senso nel prodigio meraviglioso della vita che s’infutura nelle ineludibili interconnessioni di cause ed effetti che alimentano la perenne danza universale.

Le opere di De Michele sono finestre aperte sulle dinamiche della vita cosmica che esige tutte le compresenze interconnesse nell’unità del suo divenire. Ne prende atto la spiritualità laica che esige l’uomo artefice d’umanità, consapevole che non possono esistere verità definitive. Siamo quindi di fronte ad opere d’arte che annunciano evidenze d’impossibili perimetrazioni e definizioni.

Nelle loro armonie approdano solo viventi moti energetici che invitano ad interpretare il mondo con occhi sempre nuovi, a intendere l’etica della responsabilità che impegna l’uomo destino dell’uomo a praticare equilibri comportamentali nello specchio della natura sapiente che sorride alla vita dove ha più vita. Appartiene decisamente al nostro tempo dell’incertezza quest’estetica che impegna ad equilibrare regola e desiderio dovunque nella loro discontinuità negano la vita. Vale a dire che il naturale, microcosmico o macrocosmico prodigio deve essere interpretato con la consapevolezza della comprensione e della partecipazione, con la certezza dell’appartenenza e con la sapienza che coniuga scienza e coscienza, esigendo conciliate natura e cultura.

Insomma l’arte di De Michele impegna ad un particolare dialogo nel quale nessuno è escluso dall’accesso diretto all’energia del sole e alla ricchezza dell’universo- terra- corpo dei pensieri, delle azioni, della conoscenza che consente il giusto dialogo tra esseri umani finalmente non discriminati per arbitrio del potere che gestisce l’ignoranza, il fanatismo, l’intolleranza, la comunicazione, l’economia e tutte le situazioni derivanti da inaspriti scompensi.

De Michele come tutti i magnanimi che meritano di tramontare ad oriente, ci invita, come William Blacke a “vedere il mondo in un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ tenere l’infinito nel palmo della mano/ e l’eternità in un’ora”.

Angelo Calabrese

“Esseri Fluorescenti” è un dipinto, ma è anche la storia di una generazione, quella dei giovani ai quali la società ha portato via i padri e il futuro. Storia, dunque, del disagio esistenziale di una vita costretta all’esclusione a causa della paura rispetto al mondo reale, dell’incapacità di stabilire relazioni concrete e della difficoltà di amare. In un tempo in cui ciascun individuo sembra essere condannato all’inazione e appare dominato dai dettami dell’economia in ogni sua scelta o impulso, quel movimento che si profila sulla tela racconta per contrasto di una speranza. Un ritmico nucleo dalla indefinita identità, che esasperando il già naturale istinto di protezione, nell’inconscia attesa di preservare l’ultimo ricordo del vivente, transita nel mondo esterno. Un nucleo che in dinamica movenza veicola comprensione, dialogo, amore, solidarietà e azione. Per questo i colori che si percepiscono sulla superficie sono fluorescenti, poiché contengono energia e nella loro incandescenza sprigionano la pluralità delle forze e delle coscienze di ciascun essere vivente. In questo senso, allora, tale movimento costituisce futuro: l’essere, nella sua primavera, vaga nell’oscurità dell’evo contemporaneo munito soltanto delle sue idee e della sua forza, riuscendo in tal modo ad arrecare nuova luce per sé e per l’altro da sé. Questi esseri fluorescenti marciano contrastati ma fieri contro ogni “Notte dei cristalli”.

Giuseppe Varone

Giuseppe De Michele è una forza della natura. A vederlo non si direbbe: uomo elegante, garbato nei modi, con una voce gentile, sottile ed esitante, che per intonazione e cadenza ricorda moltissimo quella del compianto Massimo Troisi, egli non manifesta minimamente, nei modi di fare e nell’apparenza del suo essere, quello che invece la sua pittura addirittura grida con violenza espressiva ed espressionista. C’è un’energia, quasi una foga, nel suo aggredire la tela con sciabolate di colore sferrate all’impazzata, senza timore, senza freni. Una energia esondante, che, evidentemente, la tela fatica a contenere. Un’energia per lo più luminosa, mediterranea, giocosa, a tratti squillante. Anche se talvolta capace di improvvisi accenti drammatici. Ma sempre comunque, in qualche modo, tracimante. E allora non apparirà poi così strana quest’ultima evoluzione del maturo artista partenopeo che, letteralmente, non sta più nella tela’: ovvero esce, travalica il limite della bidimensionalità per invadere col suo dripping sgargiante e solare lo spazio, con una serie di mirabili sculture che pure mantengono un rapporto strettissimo e dialettico con la sua pittura. E come se assistessimo al prodigio di superfici bidimensionali dipinte da De Michele che prima si deformano, assumendo forme anomale, eccentriche rispetto alla forma convenzionale del quadrato o del rettangolo: ovali, mezze lune, cerchi, triangoli… E poi quelle forme bidimensionali, coperte dal coloratissimo action-painting dell’artista campano, si staccano dal cavalletto, si sollevano da terra, e iniziano a turbinare nell’aria, vorticosamente, due o tre alla volta, come guidate a distanza dalle formule magiche di un apprendista stregone, finché, ad un certo punto, sono attratte con violenza l’una verso l’altra, si scontrano e si incastrano in forme composite che possono evocare passi di danza o immaginifiche meridiane. E sono, nel contesto della storia dell’arte contemporanea, un’interessante evoluzione dell’Action Painting.

Virgilio Patarini

La vitalità esplosiva del sublime

Certe opere di De Michele, forse perché si pongono in bilico fra arte e scienza, cantano la mescolanza degli opposti: acqua e fuoco che si scontrano come quando un fiume di lava giunge al mare, formando nuvole di vapore mescolate al fumo, e a cenere e lapilli. Ma anche, in un contesto più specificamente compositivo e formale, contrasti di colori complementari. È il grandioso manifestarsi del caos primigenio, oppure, come sospetto, è una lotta in atto per raggiungere nuovi equilibri negli elementi? Il diverso equilibrio potrebbe anche essere raggiunto a nostro sfavore (nostro, di specie umana, o anche di singoli individui), purché la vita continui la sua rigogliosa esplosione. Alcuni lavori dell’artista fanno pensare ad un florido sottobosco dove ogni minimo spazio è invaso dalla vita. Anche in questo caso conta il punto di vista: una casa disabitata viene in poco tempo invasa dalle erbacce, perché la natura si riprende il territorio che l’uomo le ha sottratto. In realtà le erbacce non esistono: siamo noi ad usare un termine spregiativo, ad indicare la pervicace intrusione della vita “selvaggia” nel nostro spazio igienicamente asettico e metodicamente controllato. In questo spazio geometrico tele di ragno filamenti bave di lumaca fiori foglie secche sono inghiottite inesorabilmente dagli aspirapolvere, esiliate, cancellate come cosa sporca, impurità, immondezza. Ma in natura lo sporco non esiste! Anche un granello di polvere partecipa con pari dignità alla realtà del tutto. De Michele, con gesti casuali, lascia tracce amorfe, metamorfiche, sovrapposte, mescolate, conglomerate anche cromaticamente. La vita è colta mentre si sviluppa senza soluzione di continuità.

Scriveva Eliot che aprile è il mese più crudele, perché ci chiama alla vita ed all’alacre attività, al contrario dell’inverno, che favorisce la pigrizia e l’indolenza. Anche De Michele, con i suoi colori acidi, stridenti, sembra ripeterci che dobbiamo far esplodere la vita in noi, come lui la sente esplodere dentro di se. La vita è fatta di traiettorie “casuali”, scommesse azzardate, percorsi imprevisti. Solo così le è stato possibile diffondersi nello spazio cosmico. Noi, esseri civilizzati, al contrario, pianifichiamo tutto, vogliamo avere ogni cosa sotto controllo, ossia bramiamo di esercitare il nostro potere sulla realtà e sulla vita per manipolarla e piegarla ai nostri comodi ma questo controllo, come certi segni ad esse di De Michele, ci sfugge continuamente: la natura cerca equilibrio per riparare ai nostri dissesti, provocando cambiamenti climatici, sconvolgimenti sismici, epidemie, guerre, aridità.

In effetti, l’uomo, borioso nella sua ascesa tecnologica e scientifica, dissacratore di qualsiasi divinità, ha perduto la capacità di sentire la forza del sublime, che oggi, molto spesso, si riduce alla messa in scena spettacolare di effetti speciali sempre più elaborati elettronicamente e notevolmente lontani dalla realtà e dalle forze vive della natura. Sicuro del suo sacrilego dominio sugli elementi, l’uomo s’illude di trovare sempre nuove e facili soluzioni agli urgenti problemi che di volta in volta lo assillano: inquinamento, violenza, rifiuti, emergenza alimentare. Egli, molto spesso, dimentica che quando gli antichi romani dovevano costruire un ponte su un fiume, offrivano un sacrificio al dio fluviale, per placarlo dell’essere stato scavalcato. L’uomo, vale a dire, aveva con la natura un rapporto di scambio, che significa dare ed avere. Quali olocausti immolano, oggi, gli ingegneri che librano ponti sospesi sopra fiumi ed abissi? Giuseppe De Michele offre la passione per l’arte, il suo inchinarsi alla vita, colmo di rispetto per le potenze ctonie latenti nelle profondità della terra, che egli è capace di scrutare anche quando questa si copre di fiori.

Antonio Risi